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Sciopero del sesso? Il marito può andare con l’amante

Sara Mascitti > News  > Sciopero del sesso? Il marito può andare con l’amante

Sciopero del sesso? Il marito può andare con l’amante

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Che lo sciopero del sesso entrasse in tribunale era solo questione di tempo, ma che possa essere la causa dell’intollerabilità della convivenza e giustificare così il divorzio, è rivoluzionario.

Così è stata condannata la moglie che aveva fatto il cosiddetto sciopero del sesso, dopo la nascita del primo figlio, correva l’anno 2000. Da lì l’allontanamento emotivo tra i coniugi e la nuova relazione del marito. Nel 2010 la separazione. Lei chiedeva l’addebito al marito, dandogli la colpa della fine del matrimonio, per aver intrapreso una nuova relazione, lui ribatteva che era stato spinto nelle braccia di un’altra donna proprio dalla moglie e dallo sciopero del sesso! In tribunale il marito quindi non contestava la nuova storia, anzi riconosceva la relazione extra-coniugale con un’altra donna e ammetteva di essersi allontanato dalla residenza familiare per intraprendere la convivenza con la nuova compagna. La battaglia legale continua per anni finchè la Cassazione non si pronuncia, lo sciopero del sesso? È violazione dei doveri coniugali! Ha ragione lui, quindi ad andare via di casa perché, dice “la situazione familiare non era più sopportabile e che dalla nascita del figlio non vi erano stati più rapporti sessuali tra i coniugi”. Lei non smentisce e la Cassazione le da torto, negandole anche il risarcimento dei danni. Suprema Corte di Cassazione – ordinanza  5 febbraio 2014, n. 2539 (il testo è alla fine della pagina).

AVVERTENZA: I contenuti di questa pagina si riferiscono a fattispecie generali e non possono in alcun modo sostituire il lavoro di un professionista qualificato. Per ottenere un parere legale in ordine alla questione giuridica che interessa è possibile richiedere una consulenza legale on-line oppure fissare un appuntamento  per un parere tecnico. Gli autori declinano ogni responsabilità per errori od omissioni, nonché per un utilizzo improprio o non aggiornato delle informazioni contenute nel sito.

Suprema Corte di Cassazione sezione VI ordinanza  5 febbraio 2014, n. 2539 Fatto e diritto 

 

    1. Con sentenza del 14 settembre 2010 il Tribunale di Pescara ha pronunciato la separazione personale dei coniugi C.A. e T.V. rigettando la domanda di addebito della separazione al T. e di condanna al risarcimento danni, disponendo l’affido condiviso del figlio minore T.R. , e la sua residenza presso la madre, imponendo al T. un assegno di mantenimento in favore del figlio minore di 400 Euro dalla domanda al febbraio 2009 e di 350 Euro dal marzo 2009. Il Tribunale ha posto la metà delle spese processuali a carico della C. in ragione del rigetto della domanda di addebito e di risarcimento.
    2.  Ha proposto appello C.A.contestando la mancata pronuncia di addebitodi condanna al risarcimento dei danni nonostante il T. avesse riconosciuto di aver intrapreso una relazione extra-coniugale con un’altra donna e di essersi allontanato dalla residenza familiare per intraprendere la convivenza con la nuova compagna. La C. ha contestato, altresì, la decorrenza e la misura dell’assegno e la sua condanna parziale al pagamento delle spese processuali.
    3.  Si è costituito T.V. chiedendo il rigetto del gravame. 
    4.  La Corte di appello di L’Aquila ha respinto l’appello rilevando che il T. , pur ammettendo i fatti ascritti dalla controparte, aveva chiarito che in realtà il ménage familiare si era già dissolto da tempo, dichiarando di essere andato via da casa perché la situazione familiare non era più sopportabile e che dalla nascita del figlio non vi erano stati più rapporti sessuali fra i coniugi. La Corte ha ribadito che l’addebito della responsabilità della separazione presuppone non solo la violazione dei doveri coniugali derivanti dal matrimonio ma anche la prova, a carico del coniuge che richiede la pronuncia di addebito, del nesso di causalità tra tale violazione e l’intollerabilità della convivenza e ha ritenuto che tale prova non era stata prodotta dalla C. ma che, al contrario, in base alle acquisizioni istruttorie potesse escludersi che la relazione extra-coniugale del T. fosse la causa della rottura del vincolo coniugale.
    5.  Ricorre per cassazione C.A. affidandosi ad un unico motivo di impugnazione con il quale deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 143-151 e 2697 c.c. e degli artt. 112, 113, 115, 116 c.p.c. nonché la erronea e contraddittoria motivazione.
    6.  Si difende con controricorso T.V. .Ritenuto che:
    7.   L’obbligo di fedeltà coniugale costituisce oggetto di una norma di condotta imperativa, la cui violazione, specie se attuata attraverso una stabile relazione extraconiugale, determina normalmente l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza e costituisce, di regola, causa della separazione personale, addebitabile al coniuge che ne è responsabile, sempre che non si constati la mancanza di un nesso di causalità tra l’infedeltà e la crisi coniugale, mediante un accertamento rigoroso e una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, da cui risulti la preesistenza di una rottura già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale (Cass. Civ. sezione I n. 13592 del 12 giugno 2006).
    8.  L’abbandono della casa familiare, che di per sé costituisce violazione di un obbligo matrimoniale e, conseguentemente, causa di addebito della separazione, in quanto porta alla impossibilità che esso è stato determinato dal comportamento dell’altro coniuge, ovvero quando il suddetto abbandono sia intervenuto nel momento in cui l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata, ed in conseguenza di tale fatto (Cass. civ. sezione I n. 10719 dell’8 maggio 2013 e n. 12373 del 10 giugno 2005).
    9. La Corte di appello ha ritenuto la domanda di addebito infondata alla luce di questi precedenti giurisprudenziali consolidati e del più generale principio secondo cui grava sulla parte che richieda, per l’inosservanza degli obblighi familiari, l’addebito della separazione all’altro coniuge l’onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre, è onere di chi eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi dell’infedeltà nella determinazione dell’intollerabilità della convivenza, provare le circostanze su cui l’eccezione si fonda, vale a dire l’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata violazione del dovere derivante dal matrimonio (cfr. Cass. civ. sezione I, n. 2059 del 14 febbraio 2012).
    10. La Corte distrettuale ha infatti ritenuto provata la circostanza, dedotta dal T. e riferita de relato dall’unica teste, escussa (sorella del T. ) e non smentita dalla C. , della fine dei rapporti sessuali fra i coniugi sin dal nascita del figlio avvenuta nel 2000. La Corte ha inoltre valorizzato le dichiarazioni della C. circa la volontà unilaterale del T. di separarsi (attuata poi con la proposizione del ricorso giudiziale) a fronte di una sua volontà riconciliativa manifestata anche dopo l’allontanamento dalla residenza familiare e la conoscenza della relazione extra-coniugale del marito.
    11.   Si tratta di una motivazione, coerente ai principi giurisprudenziali sopra richiamati, congrua dal punto di vista logico e non smentita da altri elementi di prova addotti dalla C. che possano escludere la preesistenza di una situazione di esaurimento della comunità morale e affettiva fra i coniugi cui attribuire la intollerabilità della prosecuzione della convivenza. In tale contesto appare coerente anche la motivazione relativa al rigetto della domanda di risarcimento del danno non patrimoniale.
    12.  Conseguentemente la Corte, dissentendo dalla relazione ex art. 380 bis c.p.c. del 27 giugno – 4 luglio 2013, ritiene che il ricorso vada respinto.
    13. Sussistono giusti motivi in relazione alla violazione dei doveri coniugali riconosciuta dal T. per compensare le spese del giudizio di cassazione.

 

P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di cassazione. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 del decreto legislativo n. 196/2003.